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Questo luogo è il tempio della scrittura, della poesia e della creatività. Sentitevi liberi di commentare, esplorare, creare e osservare. In queste pagine spero potrò trovare altri esseri che, come me, sono stati attratti dal fascino magnetico delle parole..

mercoledì 21 aprile 2010

Gli occhi dell'ombra

Ecco un racconticino piccino picciò dall'incipit fisso di un elfo che trova una moneta. Deve rimanere sotto le 3000 battute e devo mandarlo poi ad un concorso.
Ditemi le vostre impressioni!
=)


L'elfo si stupì nel trovare quella moneta.
Il piccolo essere dalle orecchie a punta mordicchiò l'oggetto, tenendolo tra le sue lunghe dita.
Diede ancora un'occhiata alla terra smossa ai suoi piedi e storse il naso all'odore pungente che proveniva dallo scavo. Un fetore dolciastro che, come una carezza, gli scivolava sulle guance, lo attirava e lo ripugnava allo stesso tempo.
Ai suoi piedi, un volto con occhi senza palpebre digrignava i denti alla falce di luna che illuminava di sbieco le lapidi e le pietre delle tombe.
Il giovane non si prese la briga di risotterrare il corpo che aveva esumato.
Aveva creduto di trovare poco o nulla, come su tutti gli altri corpi sui quali frugava da anni. Invece questa volta aveva trovato di più.
Sogghignò, il volto pallido che sembrava sbiadire nella luce dell'astro notturno; un vento gelido corse attraverso le lapidi, come un sospiro di un altro mondo, quando le dita si chiusero imprigionando nella mano dell'elfo ciò che avrebbe dovuto permettere all'anima del defunto il viaggio verso i suoi avi.
Si incamminò lentamente verso l'uscita del cimitero. Era una serata come un'altra, e quello per lui era un cadavere come un altro.
Ogni passo che faceva, però, sentiva sempre più su di sé degli occhi appuntiti. Tre volte si girò, e tre volte non scorse nulla.
Percepiva una presenza, fumosa come una sensazione.
Qualcuno lo guardava dal buio.
Fu preso dalla voglia di abbandonare quelle lapidi, denti che laceravano il terreno. Attraversò le ombre delle lastre marmoree con il proprio passo e voltò le spalle a quel luogo di morte.
Voltò le spalle al cadavere dissotterrato di suo padre.
*
Aveva perso il conto dei giorni, il giovane elfo. Giorni trascorsi gridando contro l'oscurità, contro chi lo fissava ogni attimo dal nero più profondo.
Le sue orecchie erano invase da orribili bisbiglii e sussurri che non gli davano tregua, che lo tenevano sveglio la notte e gli martellavano la testa.
Stava lentamente impazzendo e non riusciva a salvarsi.
Le sue mani rasparono il pavimento sporco della camera. Si era svegliato di nuovo di soprassalto e piangeva sommessamente, il ventre a terra.
Si accorse di essersi ferito a una mano e un lieve tintinnio gli rivelò di aver rotto lo specchio accanto al letto.
Nella sua mente una rivelazione si fece strada all'improvviso: strisciante, velenosa, fredda come il vetro che la sua mano iniziava a stringere.
Il tocco sottile sulla sua carne bollente fu come quello di un vecchio amico.
Vi fu un attimo di pace mentre il raschiare del gelido oggetto tagliente contro l'osso del polso copriva le voci senza fine.
Mentre la vita gocciolava via da lui, il piccolo ragazzo osservò la sua moneta.
La vista gli si offuscò, e dall'oscurità balzò fuori lei.
La sua coscienza uscì fuori dalla nera ombra della sua mente, ad osservarlo con occhi senza palpebre.
L'immagine di ciò che una volta era stato suo padre si chinò e raccolse il piccolo disco giallo.
Poi scomparve, e la morte sibilò nelle sue orecchie parole d'oblio.

domenica 11 aprile 2010

Il Fumo Saliva Alto

Questo è il prologo di un mio racconto per magari un prossimo concorso.. narra del lager di Mauthausen.

Inizio.
Prologo.
Il fumo saliva alto.
Come nelle fabbriche di acciaio, nelle fonderie e nei porti. Sfiorava le nuvole, accarezzava il cielo e lo screziava di nero.
Le ciminiere di mattoni annerite sbuffavano ininterrottamente quel fumo scuro, denso, dall'odore pungente.
I forni non si fermavano mai, e anche di notte i loro fuochi rombavano dentro le camere, alimentate dagli addetti alle caldaie.
Attorno alla bassa e lunga costruzione, il prato si stendeva per qualche decina di metri e veniva subito ricoperto dal cemento di una strada.
Altri edifici lunghi e bassi si delineavano in un ordine quasi reverenziale, e dentro quelle case volti, facce, corpi, anime.
Nessuno passava sulla strada che si divideva nei viottoli tra i casermoni che stavano lì, accasciati sul terreno, come se un peso immane li schiacciasse al suolo.
Il cielo sorrideva azzurro, indifferente.
Il rumore di stivali ruppe il silenzio della sera. Suole chiodate battevano l'asfalto a un ritmo incessante. Un altro carico di combustibile arrivava ai forni su un carretto da quell'agglomerato di case fantasma.
I cadaveri vennero buttati nudi nelle fiamme dell'inferno.
Il fumo saliva alto, nel campo di Mauthausen.

venerdì 2 aprile 2010

Come scrivere bene - Umberto Eco

1. Evita le allitterazioni,anche se allettano gli allocchi.
2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.
3. Evita le frasi fatte:è minestra riscaldata.
4. Esprimiti siccome ti nutri.
5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.
6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.
7. Stai attento a non fare... indigestione di puntini di sospensione.
8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.
9. Non generalizzare mai.
10.Le parole straniere non fanno affatto bon ton.
11.Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”
12.I paragoni sono come le frasi fatte.
13.Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
14.Solo gli stronzi usano parole volgari.
15.Sii sempre più o meno specifico.
16.La litote è la più straordinaria delle tecniche espressive.
17.Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.
18.Metti, le virgole, al posto giusto.
19.Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.
21.Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso e! tacòn del buso.
22.Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.
23.C’è davvero bisogno di domande retoriche?
24.Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.
25.Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.
26.Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.
27.Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!
28.Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.
29.Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.
30.Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.
31.All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).
32.Cura puntiliosamente l’ortograffia.
33.Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.
34.Non andare troppo sovente a capo. Almeno, non quando non serve.
35.Non usare mai il plurale majestatis.Siamo convinti che faccia una pessima impressione.
36.Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.
37.Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.
38.Non indulgere ad arcaismi, apax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differanza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva eccedono comunque le competente cognitive del destinatario.
39.Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che una frase compiuta deve avere.
40. Una frase compiuta deve avere.

Come scrivere bene - Umberto Eco

lunedì 29 marzo 2010

Un Medico

Un Medico
"Da bambino volevo guarire i ciliegi
quando rossi di frutti li credevo feriti
la salute per me li aveva lasciati
coi fiori di neve che avevan perduti."


Non si passeggia per niente. E non si guarda il cielo per niente.
Lui pensava questo tutte le sere, quando passava sotto quei vecchi e striminziti ciliegi; camminava senza niente in tasca tranne le mani, buttando di tanto in tanto l'occhio ad una finestra e poi l'altra, come un gioco di arancioni luci, immaginandosi le famiglie che vi vivevano dentro.
C'era forse qualche vecchio solo che fissava delle grigie e polverose foto, immobile come una vetrina? Vi erano forse dei gioiosi ragazzini che giocavano con nulla sul tappeto ed erano felici, nell'appartamento accanto?
Su tutto ciò lui non poteva che stendere un velo di neve, e lentamente passò oltre.

"Un sogno, fu un sogno ma non durò poco
per questo giurai che avrei fatto il dottore
e non per un dio ma nemmeno per gioco:
perché i ciliegi tornassero in fiore,
perché i ciliegi tornassero in fiore."

E pensava. Non poteva farne a meno: non quella sera, non con quel cielo che rigettava la luce a terra. Il pensiero andò all'esame di medicina del giorno dopo e non trattenne un sorriso fugace. Perchè giocare con nulla quando puoi giocare con la vita, con la vita degli altri? Nel mondo si vince o si perde. E lui non avrebbe perso.
Un velo di neve ricoprì il suo cuore di ghiaccio e lentamente passò oltre.

"E quando dottore lo fui finalmente
non volli tradire il bambino per l'uomo
e vennero in tanti e si chiamavano "gente"
ciliegi malati in ogni stagione."


Sedeva sulla sua poltrona di feltro il “dottore”. Con le mani in mano, contava le ultime banconote, come sempre ogni venerdì sera. Solo che quello non era un venerdì sera qualunque.
Ottocento, novecento, mille..
I soldi passavano sotto le sue dita, insensibili e assuefatte dalla cartamoneta.
Davanti alla sua scrivania uno specchio restituiva l'immagine di un uomo di cinquant'anni.
Venerabile, in camice bianco, ordinato, elegante, ricco, corrotto, depravato, schifoso.
E fuori la neve cadeva sui ciliegi, e li conservava in pochi piccoli attimi fugaci; fuori la neve indifferente creò un velo su quell'uomo, d'ipocrisia avvelenato, con la morte alle porte.
I ciliegi non erano però né rossi ne bianchi. Erano neri. Erano morti.
La neve lo ricoprì e lentamente passò oltre.


"E i colleghi d'accordo i colleghi contenti
nel leggermi in cuore tanta voglia d'amare
mi spedirono il meglio dei loro clienti
con la diagnosi in faccia e per tutti era uguale:
ammalato di fame incapace a pagare."


“Nel mondo si vince o si perde” ripeteva poco convinto, a quelli che ancora lo stavano a sentire. Non aveva mai avuto, lui, bisogno d'amare: il suo era solo un mestiere.
Ottocento, novecento, mille.
Dalla sua porta passò il suo nuovo pediatra, in volto un sorriso. Si chiese, il “dottore”, cos'avesse da ridere. Gli venne detto in risposta. “Io curo i malati”.
“Il medico cura la malattia, non i malati. Curare i malati , è quello che manda il medico in depressione”. Ma niente faceva presa su quel cuore di vetro, che lentamente si scioglieva, e dal sorriso, poi, rideva.
Un'altra coltre di neve si tuffò sul cuore gelato. Ottocento, novecento, mille. E lentamente passo oltre.


"E allora capii fui costretto a capire
che fare il dottore è soltanto un mestiere
che la scienza non puoi regalarla alla gente
se non vuoi ammalarti dell'identico male,
se non vuoi che il sistema ti pigli per fame."

Fare il dottore è solo un mestiere, non porta altro che denaro. Guardò giù dalla sua finestra del suo spazioso ufficio. Attorno al suo Chayenne tre bambini rincorrevano i fiocchi di neve e li schivavano, felici.
Toccare del denaro non era la stessa cosa, pensò.
Nel mondo si vince o si perde. E lui quel venerdì sera del 24 Dicembre, capì di aver perso.
La neve iniziò a sciogliersi sul suo cuore, e lui lentamente passò oltre.

"E il sistema sicuro è pigliarti per fame
nei tuoi figli in tua moglie che ormai ti disprezza,
perciò chiusi in bottiglia quei fiori di neve,
l'etichetta diceva: elisir di giovinezza."


Nel corridoio le luci erano spente. Dalle camere fiocamente illuminate i pazienti dormivano sonni più o meno pesanti, dettati da anestetici più o meno pesanti.
Nessuna droga poteva addormentarlo quella sera. Vagò per le sale dell'ospedale come non aveva mai fatto, lasciandosi dietro di sé un'invisibile, sottile e quanto mai reale scia di neve bagnata. Non sapeva dove andare a farsi curare, lui, che aveva curato con occhio cinico e insensibile migliaia di pazienti, e altrettanti ne aveva visti morire; ora era diventato lui un paziente, per curare quell'organo che aveva seppellito sotto la coltre bianca e gelata della propria avidità.
Attraversò respiri e singhiozzi, ma ancora una volta passò oltre.

"E un giudice, un giudice con la faccia da uomo
mi spedì a sfogliare i tramonti in prigione
inutile al mondo ed alle mie dita
bollato per sempre truffatore imbroglione
dottor professor truffatore imbroglione."


Cercava quel giovane ragazzo, quel piccolo sorriso.
Come fai? Dimmi come fai? Perchè sorridi? Come puoi?
Non poteva rimanere così, in quella sera bianca e nera, ad aspettare lo spettro del suo cinismo.
Si fermò al suono di un canto. La porta aperta, una candela accesa.
E poi un bambino sul letto, un malato terminale, lui lo sapeva. Pochi giorni o poco più.
Eppure, eppure...
La madre ancora lì accanto, con una piccola torta in mano, gli occhi dietro le lacrime, il sorriso sotto le labbra.
E cantava per il suo piccolo, come se potesse averne ancora cento di quei compleanni.
Ottocento, novecento, mille.
Si sedette anche lui e cantò per qualcun'altro, per la prima volta.
La neve si sciolse sul suo cuore caldo: telefonò alla moglie per dirle che l'amava, al suo capo per dire che si licenziava, e di cose da dire ne aveva davvero molte.
Cantò per il piccolo sorriso, e questa volta non passò più oltre.

martedì 23 marzo 2010

Sera

La sera è la luna sui tetti.
Senza luna non ci sarebbe una parvenza di notte e una notte senza luna sarebbe un buio senza senso.
Si ripensa ai giorni, durante le notti.
Il biglietto del treno che quella maledetta barista in via Roma non ti vuole fare perchè le gira male o perchè vuole che tu consumi qualcosa.
I risolini leziosi e le stupidaggini di una voce falsa ma che non si assenta per un solo minuto.
La stupidità di chi dovrebbe essere intelligente.
E tu che stai lì a guardare la sera, mentre la luna ti fissa.
Non puoi cambiare il mondo. Non puoi cambiare te stesso.
E continui a guardare la luna.

lunedì 22 marzo 2010

Corso di Scrittura Lez. III - Non avrete più paura di scrivere

Sono tante le voci che circolando a proposito delle trame letterarie, e ancora di più sono i luoghi comuni.
Per iniziare, citiamo quello più tenace di tutti.
Ovvero che le trame narrative sono già nella testa dello scrittore, fatte finite e complete. Alcuni parlano addirittura di scalette, di plot ecc.
Questa tesi va bene per la sceneggiatura nel cinema, ma per l'attività letteraria va smentita, assolutamente.
Quasi mai l'autore sa cosa andrà a scrivere davvero. Spesso ne sa pochissimo.
Come è possibile? Questo perché lo scrivere è un processo di svelamento di se stessi a se stessi ma anche ad un altro.
Chi racconta di sé racconta agli altri e nello stesso tempo capisce molto di sè.
Le idee migliori vengono mentre si scrive. Il problema è che iniziare a scrivere, per esempio in un tema in classe, senza sapere dove andare a parare, è completamente dannoso. Le persone talentuose non hanno problemi in questo: essi nel proprio inconscio trovano già i personaggi, le descrizioni e le narrazioni, ma tutto questo solamente perché hanno seguito un allenamento: scrivono, scrivono e ancora scrivono.
er arrivare a non temere di scrivere bisogna, paradossalmente, scrivere (e qui vi rimando alle precedenti lezioni sul metodo). Chi in un tema per esempio dice "Non so cosa scrivere" solitamente usa due scuse: 1) Non so niente sull'argomento 2)Non sono capace a scrivere.
Corbellerie. Solo al prima è, a volte, utilizzabile, ma con i documenti forniti nelle prove non si può non sapere cosa scrivere: si ha già tutto (articoli, recensioni ecc) da cui prendere spunto.
Dividiamo i tre tipi di narrazione

Narrazione da Romanzo o racconto:
Si parte da un'idea, per esempio: vorrei scrivere una storia d'amore moderna.
Questa idea mi è venuta mentre camminavo e ho notato i lucchetti sul ponte vicino a casa mia.
Elemento innovativo: riprendere il tema della scarpetta di cenerentola, ma al posto della scarpetta, ci sarà un numero di cellulare ignoto, che il protagonista dovrà inseguire per la città e scoprire di chi sia.
Luogo: Pinerolo
Tempo: Oggi
Protagonisti: un uomo e una donna
Coprotagonisti: Scelta vastissima.
Iniziate dunque a scrivere: che cosa succede? Succede che vi mettete in macchina e viaggiate sull'autostrada. Ad ogni uscita scegliete un casello, che sono le vostre scelte narrative. Così facendo ne scartate tutte le altre, perché vi piace più una località o chissà per quale altro motivo.
Nelle trame narrative accade proprio questo. Si parte da qualche dato dato in anticipo, come il periodo storico, i personaggi ecc. e poi ci si allarga.
All'inizio, quando si è agli esordi, è meglio prendere appunti: gli errori sono dietro un angolo e ogni scelta va mantenuta con coerenza.
Non fate come Chiara Strazzulla, che a pagina 350 descrive il caldo afoso dell'estate e dopo 15 pagine descrive gli spifferi gelati della finestra perché (ohibò!) era quasi inverno e faceva freddo.
Per quanto riguarda un racconto, molti pensano siano qualcosa di basso, di stupido e futile. Niente di più erroneo.
Un racconto non è un mini-romanzo. E' l'ingrandimento di un frammento. In esso potete scegliere la fantasia, concentrarvi su poche migliaia di battute per dire TUTTO. E' lì il difficile, e non tutti sono in grado di farlo. Io personalmente penso che un bravo scrittore sappia scrivere bellissimi racconti brevi: questo denota la sua capacità di emozionare chi legge che (non mi stancherò mai di ripeterlo) è la caratteristica e l'obiettivo base di chi scrive.
Si crede che sia più difficile scrivere 500 pagine che 5000 battute (4 pagine scarse). E' per la maggior parte sbagliato. Per la minor parte invece, ci si spaventa dalla lunghezza, si tentenna e si lascia perdere.
Bhè, NON MOLLATE MAI!
Dovete ragionare con coscienza su quel che volete scrivere. Non abbiate fretta, sappiate che la vostra storia non vi abbandonerà mai. Non fatelo voi.

Temi in classe
I temi. Chi non si è mai trovato di fronte al "non so cosa scrivere"? Tutti, bene o male, poco o quasi nulla. C'è sempre un momento del genere. Alzate la penna e vi rendete conto che avete detto tutto, ma avete scritto una colonna e mezza.
In quel caso, eccovi i miei personali consigli, grazie ai quali non sono mai stato a corto di idee e di cose da scrivere.
1) Non fatevi prendere dal panico, respirate ogni tanto.
2) Solitamente c'è tutto il tempo che volete, soprattutto in un esame.
3) Vi consiglierei, visto quel che ho detto sopra, di non fare la brutta. Scrivete quel che pensate, niente scalette, non impoverite l'arte con delle cose rigide. Scrivete decentemente e non a zampa di gallina e anche con delle correzioni si capirà tutto benissimo.
4) Guardate i documenti a vostra disposizione, evidenziate ciò che vi colpisce, fatevi guidare dal cuore prima, poi rileggeteli dopo esservi presi due minuti in cui lasciate andare libera la mente, e quindi usate la razionalità.
5) Avete tanti documenti, solitamente: lì c'è TUTTO quel di cui avrete bisogno, il tema è già quasi fatto
6) Il titolo è l'ultima cosa da mettere al vostro elaborato.
7) Rispettate lo stile (Tema articolo o saggio)
8) Non correggete a metà stesura: lo rifarete dopo. Sì, avrete tempo.
9) Il finale deve essere ad effetto. Mettete sempre il vostro parere, senza esplicitarlo. Un finale "Io penso che l'acqua debba essere pubblica perché persino i romani avevano a testa tanta acqua come noi" fa a dir poco pena. Meglio un finale tipo "Dà da pensare che gli abitanti di Roma abbiano 60 litri al giorno di acqua potabile a testa. E dà ancora più da pensare che li avessero già prima delle invasioni barbariche. Nel frattempo, in Puglia, si muore di sete". Ma voi saprete fare di meglio.

Eccoci qui! nella prossima lezione tratterò
- Dell'incipit, ovvero di come si inizia un racconto, tema e romanzo;
- Dell'in media res e del grande dilemma della terza persona e della prima persona.

Un abbraccio! Matte!=)

"I turisti vanno e tornano, i viaggiatori non si fermano mai"

Questo è il libro da cui traggo ispirazione. Gli faccio giustizia
http://www.ibs.it/code/9788876152214/cotroneo-roberto/manuale-scrittura-creativa.html